Spalletti se ne va in silenzio, lasciando più domande che certezze. E mentre tutti guardano ai soliti noti, qualcuno comincia a pensare in modo diverso
Luciano Spalletti ha lasciato la Nazionale con una vittoria molto preziosa. Un ultimo regalo per l’ex CT, il cui addio è stato anche piuttosto scioccante, con quelle lacrime in conferenza e la sensazione di incompiutezza che lascia la sua gestione.
Spalletti è stato molto responsabile nella scelta di non farsi pagare le ultime mensilità che gli spettavano dalla Nazionale, e quindi il suo esonero assume quasi i connotati delle dimissioni. Un gesto nobile che fa onore all’uomo, e che lascia comunque un senso di amarezza per ciò che poteva essere l’allenatore.
Ma il problema è questo. Il ruolo del commissario tecnico della Nazionale è tutt’altro che banale e non è adatto a tutti, e il caso Spalletti è proprio la dimostrazione di quanto stiamo dicendo.
Spalletti è un allenatore straordinario, probabilmente il migliore che abbiamo in Italia, soprattutto dal punto di vista tattico, ma non è stato un buon CT, perché quello è un ruolo nel quale manca una componente che per lui è vitale: il lavoro sul campo, il lavoro di tutti i giorni, il rendere i calciatori un tutt’uno con il suo credo.
Emblematico è il caso di Napoli, dove Spalletti addirittura dormiva a Castel Volturno, in una stanzetta dentro il centro sportivo, per dimostrare ai suoi calciatori l’attaccamento al progetto.
E questa è stata la sua forza. Ma paradossalmente è anche la sua debolezza, nel momento in cui non può incidere come si deve sul gruppo, giorno dopo giorno. Perché il ruolo del CT, in fondo, è più gestione che trasformazione. E Spalletti è uno che vive per trasformare.
Claudio Ranieri poteva essere il nome perfetto, certo che poteva. Ma purtroppo ha detto no, anche perché, a quanto ci filtra, ha capito che sarebbe stata una scelta sbagliata anche in virtù di qualche commento antipatico ricevuto sui social in merito a un possibile conflitto di interessi. Un episodio che gli ha dato modo di “sentire” il polso della piazza romanista e capire che forse quella scelta non sarebbe stata ben accettata da quello che considera ancora il suo pubblico.
Ora si sta aprendo la corsa alla successione, e nel momento in cui vi scriviamo niente è ancora deciso, ma ci sono due nomi che sono favoriti su tutti gli altri. Uno è quello di Roberto Mancini, che onestamente appare poco probabile. Il modo in cui ha lasciato la Nazionale prima che passasse a Spalletti ha lasciato segni importanti anche nel rapporto con Gravina, che rende difficile immaginare un ritorno sereno.
Sarebbe una scelta poco convinta e rischiosa, anche perché una qualificazione al Mondiale Mancini l’ha già fallita, e una seconda volta sarebbe disastrosa, soprattutto per lui.
L’altro nome forte è quello di Stefano Pioli. Ma anche qui, i dubbi non mancano. Probabilmente, per motivi simili a quelli che hanno portato Spalletti a non funzionare. Pioli è uno da quotidianità, da lavoro sul campo, da gestione familiare del gruppo. E in più, la sua candidatura non è mai sembrata davvero solida. Se fosse stata la prima scelta, Gravina non avrebbe provato fino all’ultimo a convincere Ranieri ad accettare l’incarico. Che poi, alla fine, ha rifiutato.
E allora, in questo clima di incertezza, potrebbe spuntare un nome diverso. Più azzardato, forse, ma con un senso più profondo. Tra i tanti nomi accostati alla panchina azzurra, quello che oggi sembra avere più logica è Daniele De Rossi, molto più di Ringhio Gattuso che pure al momento è dato per favorito.
Un allenatore brillante, che ha già vissuto la Roma da protagonista anche in Europa. Ha uno standing forte, è credibile nello spogliatoio, ha un vissuto che parla per lui. È stato uomo simbolo della Nazionale, dentro e fuori dal campo. E soprattutto conosce benissimo l’ambiente, conosce i calciatori. Su di loro potrebbe avere una presa più da capitano che da CT. Non è poco, in questo momento difficilissimo.
De Rossi ha dimostrato di avere ottime idee, di avere personalità, e ha fatto bene a Roma pur non essendo stato messo nelle condizioni ideali per esprimere il suo calcio. E no, le colpe non sono sue. Ha lavorato con ciò che aveva, ha unito un gruppo sfaldato, ha riportato entusiasmo. E se l’Italia ha bisogno di qualcosa oggi, è proprio questo.
De Rossi non è solo una suggestione. Potrebbe essere la scelta più sensata.
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