
C’è una certa aria strana a Bergamo. Dopo il ko con il Sassuolo, il silenzio che avvolge Zingonia è quasi più rumoroso dei fischi piovuti sul Gewiss. L’Atalanta di Juric sembra essersi smarrita, eppure il tecnico croato, almeno pubblicamente, non arretra di un millimetro. “Non sono preoccupato”, ha detto con la solita calma tagliente in conferenza stampa. Ma dietro quella sicurezza si avverte una tensione sottile, come una corda tesa pronta a spezzarsi.
Undici giornate, solo 13 punti e un ruolino che non può soddisfare una piazza abituata a ben altri orizzonti. I numeri parlano chiaro: la “Dea” ha segnato appena quattro gol nelle ultime sette partite, e il pressing feroce che aveva incantato a Marsiglia sembra un ricordo sbiadito. Juric non si nasconde: “La responsabilità è dell’allenatore, sempre. Quando vinciamo e quando perdiamo”. Una frase che sa di consapevolezza ma anche di difesa, come chi sa che il vento sta cambiando.
Juric e il silenzio della società: fiducia o attesa?
Nessun contatto diretto con la società dopo la sconfitta con il Sassuolo. Eppure, solo pochi giorni fa, l’amministratore delegato Luca Percassi gli aveva ribadito piena fiducia, addirittura prima della sfida di Europa League. Poi, quella vittoria al Vélodrome aveva ridato ossigeno e un’illusione di rinascita. Oggi però tutto sembra tornato a un punto morto.
Il problema non è solo tecnico: la sensazione è che la squadra abbia perso fame, spirito, convinzione. Lo stadio è diviso — tra chi chiede di voltare pagina e chi difende Juric, accusando i giocatori di essere i primi responsabili. Nel frattempo, i dirigenti Percassi e Pagliuca osservano e riflettono, sfruttando la sosta per le nazionali come tempo di valutazione. Perché, inutile negarlo, il margine d’errore si è ormai ridotto al minimo.
L’obiettivo dichiarato dal co-chairman americano — restare in corsa per il quarto posto e la Champions — oggi sembra lontano. I numeri raccontano una verità amara: ci sono più punti che separano l’Atalanta dalle prime quattro squadre di quanti non la separino dalla zona retrocessione. Una situazione che mette tutto in discussione, anche chi fino a ieri sembrava intoccabile.
I nomi sul tavolo: Mancini sogno, Palladino idea concreta
Dietro le quinte, qualcosa si muove. A Marsiglia, in tribuna, qualcuno ha notato la presenza di Roberto Mancini. Non un caso, forse. Il tecnico jesino mantiene da anni un ottimo rapporto con i Percassi e, per molti, rappresenterebbe il nome di peso capace di dare una scossa immediata. Ma non è l’unica pista.

Il profilo più “caldo” resta quello di Raffaele Palladino, ex Monza, già accostato alla panchina nerazzurra lo scorso giugno. Palladino piace perché non stravolgerebbe l’assetto tattico, un dettaglio che a Bergamo pesa più di quanto si pensi. L’idea di un cambio dolce, senza rivoluzioni, è sempre stata nel DNA della famiglia Percassi.
E poi c’è il terzo nome, più defilato ma non meno intrigante: Thiago Motta. L’ex Juve, ancora sotto contratto con i bianconeri, era stato tra i candidati estivi e avrebbe già avuto un primo colloquio con la dirigenza.
La sensazione è che tutto dipenda dai prossimi giorni. Juric resta al suo posto, ma la fiducia, se c’è, è ora più fragile che mai. Forse basterebbe una scintilla per riaccendere l’entusiasmo, ma se quella scintilla non arriva, a Bergamo potrebbero cambiare molte cose, e in fretta.
E allora la domanda rimane sospesa: questa Atalanta ha davvero bisogno di un nuovo inizio o solo di ritrovare sé stessa? Forse, come spesso accade nel calcio, la verità sta nel mezzo. E solo il campo, ancora una volta, saprà dirlo.





