Il norvegese ha riconquistato fiducia e campo. Cresce la leadership, aumenta il peso tattico. All’orizzonte, un traguardo personale che può fare la differenza.
C’è un momento, nella stagione di un giocatore, in cui tutto si riallinea. La testa si libera, il corpo risponde, i compagni si fidano. Non capita per caso: arriva dopo settimane di lavoro silenzioso, di scelte semplici e ripetute. Capita quando un rientro diventa molto più di un rientro.

È il caso di Thorstvedt, che ha trasformato uno infortunio fastidioso in un punto di ripartenza. Il centrocampista norvegese ha ritrovato spazio, ritmo e responsabilità. In neroverde ha messo insieme le ultime cinque gare da titolare consecutivamente, segnale concreto di centralità tecnica e mentale. L’allenatore lo ha scelto senza esitazioni. La squadra lo ascolta. E il campo dice che la scelta è corretta.
Thorstvedt ritorna dall’infortunio: cosa accadrà adesso
Il suo profilo è chiaro: fisico, letture semplici, pulizia nel primo controllo. Sa occupare la trequarti e abbassarsi per aiutare l’uscita del pallone. Alterna giocate verticali e appoggi di sicurezza. Non ha bisogno di effetti speciali: sceglie tempi di gara e posizioni in cui la squadra respira. Questo lo rende prezioso. Chi osserva la partita dal vivo nota come si offra sempre allo scarico e come chiuda linee di passaggio potenzialmente pericolose.

Il segnale più forte, però, arriva dalla nazionale. Dopo lo stop, il ct norvegese lo considera un riferimento stabile. Il suo nome rientra tra i primi della lista e il minutaggio conferma la fiducia. Per un gruppo che costruisce identità e automatismi, avere un centrocampista affidabile, capace di fare da ponte tra reparti, conta quanto un assist. Il fatto che sia figlio dell’ex portiere Erik Thorstvedt, icona del calcio norvegese, aggiunge solo un dettaglio di contesto: qui valgono i fatti, non il cognome.
A livello di club, la sua leadership è cresciuta senza proclami. Parla con il corpo: ritmo, posizioni, scelte pulite. Ha alzato il livello nelle seconde palle e nella difesa dell’area. Quando deve alzare la pressione, guida il compagno accanto con un gesto della mano. Quando serve calma, rallenta il gioco e imposta. Nel calcio reale, questi micro-segnali sostituiscono mille discorsi.
Resta un punto aperto, che fa da motore alla sua sfida personale: il primo gol è lì, a un passo. Il norvegese crea presupposti, attacca l’area con i tempi giusti e si presenta in zona conclusione. Non è un’ossessione, ma un obiettivo concreto. Quando arriverà, cambierà poco nel suo valore complessivo, ma inciderà tanto sulla percezione esterna del suo percorso.





