Hojbjerg: il danese che unisce Pep e Mou, il nuovo obiettivo della Juve

Un danese cresciuto tra Monaco e Londra che divide gli allenatori, ma unisce le idee: controllo e ferro, geometrie e frizione. È qui che il nome di Pierre‑Emile Hojbjerg torna a bussare alla porta della Juventus.

Chi è oggi Hojbjerg

C’è stata un’età in cui Pep Guardiola lo accostò a Busquets per pulizia del primo passaggio e letture da “regista”. Poi il tempo l’ha spostato un metro più avanti e mezzo passo più dentro il duello. Oggi Pierre‑Emile Hojbjerg è un centrocampista da ordine e attrito, capace di alzare il tono del pressing e, allo stesso tempo, di abbassare i giri della partita quando serve.

È nato nel 1995, ha debuttato in Bundesliga a 17 anni con il Bayern, si è fatto le ossa tra Augsburg e Schalke, ha messo radici in Premier League con Southampton e Tottenham. Con José Mourinho è diventato leader di reparto: All or Nothing – Tottenham lo racconta bene, tra le parole dure dello spogliatoio e il rispetto guadagnato con i contrasti vinti e la palla giocata semplice.

Nota doverosa per chiarezza: alcune testate hanno collegato Hojbjerg al Marsiglia nell’ultima finestra, ma al momento non risultano comunicati ufficiali che confermino un trasferimento. Le trattative esistono, le firme sono un’altra cosa. Sulla nazionale danese, invece, non ci sono dubbi: è una presenza stabile e carismatica da anni.

Fin qui, il ritratto. Il punto centrale arriva adesso: perché la Juventus?

Cosa darebbe alla Juventus di Motta

La squadra di Thiago Motta cerca un giocatore che “detti” senza teatralità. Un profilo che tenga corto il campo, legga le uscite, scelga il momento del verticale. Hojbjerg offre proprio questo: tanta gestione a due tocchi, diagonali pulite sul lato debole, aggressività educata quando si perde palla. È un “regista di lotta”: meno estetica del regista classico, più controllo degli spazi e delle onde emotive della gara.

In costruzione può formare un doppio perno con Locatelli: uno a dare linea di passaggio davanti ai centrali, l’altro a farsi trovare tra le mezzali avversarie. In non possesso, scala senza panico sulle corsie per coprire le uscite di Cambiaso o l’altezza di Weah, accorcia sulle seconde palle e spegne le transizioni con il fallo “intelligente”. È il tipo di “equilibrio mobile” che in Serie A paga, specie contro squadre che attaccano con tanti uomini tra le linee.

Esempio concreto: palla a Danilo, pressione forte sul lato destro, Hojbjerg si abbassa e gioca immediato sul terzo uomo, trovando il corpo di Yildiz tra le linee. Oppure, stessa situazione, cambia fronte rapido su Chiesa con un 40 metri col piede preferito. Niente effetti speciali, ma il gesto giusto al tempo giusto. Le metriche pubbliche (es. mappe di passaggio e recuperi su FBref) lo descrivono sopra la media per passaggi lunghi completati e contrasti vinti nell’ultimo terzo difensivo: numeri coerenti con la sua identità.

Capitolo costi: le valutazioni di mercato oscillano e dipendono da contratto e concorrenza. Non ci sono cifre ufficiali condivisibili in questo momento; l’interesse della Juve, però, ha senso tecnico prima ancora che economico.

C’è poi un dettaglio psicologico. Hojbjerg ha vissuto spogliatoi ad alta pressione. Porta standard quotidiani elevati, guida con l’esempio, non chiede il palcoscenico. È il profilo che tiene coeso il gruppo durante gli inevitabili passaggi a vuoto di una stagione lunga.

Pep lo voleva “pulito”, Mou lo ha reso “tosto”. Forse è proprio questa miscela a intrigare la Juventus: un calmiere dentro il caos. E voi, che tipo di silenzio immaginate al 75’, con un vantaggio da proteggere allo Stadium: quello dell’ansia o quello, più raro, di chi sa già dove mettere il prossimo pallone?

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