La notizia arriva come un soffio freddo su Trigoria: il ritmo si spezza, la squadra si stringe e il capitano si ferma. Non c’è dramma, c’è attenzione. E quella pausa che, a volte, salva una stagione.
Il ruolo di Lorenzo Pellegrini nella Roma va oltre la fascia. Dettatura dei tempi, pulizia tecnica tra le linee, carisma nei momenti d’attrito. Chi guarda le partite lo percepisce subito: quando il suo primo controllo è pulito, lo stadio respira. Eppure, in questo gioco fatto di scatti e ripartenze, basta un segnale dal corpo per cambiare la rotta di un mese.
Un inciso necessario. Nel calcio d’élite le lesioni muscolari sono il pane amaro della quotidianità. Gli studi UEFA sugli infortuni d’élite indicano che i problemi ai flessori di coscia rappresentano una quota rilevante degli stop stagionali, con il bicipite femorale tra i più colpiti. Le ricerche pubblicate sul British Journal of Sports Medicine mostrano inoltre che, se si accelera il rientro, il rischio di recidiva nelle 8 settimane successive può salire oltre il 20%. Dati freddi, utili per capire perché la prudenza non è un vezzo, ma una strategia.
E veniamo al punto. Gli esami hanno evidenziato una lesione al bicipite femorale sinistro per il centrocampista giallorosso. La stima del club, in linea con i protocolli per un interessamento di grado lieve-moderato, parla di circa un mese di stop. Il grado preciso non è stato reso noto: è corretto dirlo con chiarezza. Ma una finestra di 3–5 settimane è coerente con i tempi di recupero più adottati quando non c’è coinvolgimento tendineo importante.
Nelle prime 48–72 ore si lavora su gestione del dolore, carico controllato e modulazione dell’infiammazione. Poi entra in scena un percorso progressivo: isometriche a basso carico, attivazioni del core e glutei, quindi esercizi eccentrici mirati (il Nordic Hamstring è tra i più studiati). Il via libera al campo passa per checkpoint precisi: assenza di dolore palpatorio, forza eccentrica comparabile tra gli arti, sprint sub-massimali senza fastidi, test funzionali superati. La parola d’ordine è una: personalizzazione. Ogni recupero ha il suo ritmo.
Sul piano tecnico, l’assenza di Pellegrini toglie connessioni tra centro e trequarti, oltre a qualità sui calci piazzati. Lo staff dovrà distribuire compiti: più responsabilità creative a chi rifinisce, inserimenti mirati delle mezzali, gestione oculata delle pressioni alte per evitare strappi inutili. Il calendario dirà quante gare salterà, ma in una finestra di quattro settimane, tra campionato e coppe, parliamo spesso di 4–6 partite. È un intervallo significativo, non una voragine.
L’altra faccia della medaglia è il rischio di recidiva. Le migliori pratiche – documentate da UEFA e BJSM – indicano che un rientro “criteriato”, e non “calendarizzato”, riduce le sorprese. Tradotto: meglio un giorno in più che tre settimane in meno. Il giocatore lo sa, lo sa lo staff medico, lo sa l’ambiente. E i tifosi, spesso più saggi di quanto si dica, preferiscono la pazienza alla roulette.
Un pensiero finale. A volte un mese di stop è un corridoio silenzioso che riordina le priorità. Si rimette a fuoco il gesto semplice, il passaggio corto, l’appoggio del piede sul prato. Quando tornerà, basterà un controllo orientato per capire se l’attesa è servita. E tu, davanti allo schermo o dal tuo posto allo stadio, che cosa chiedi davvero a un rientro: il lampo subito o la luce che dura?
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