Coronavirus e Serie A, Colley: “Non ho il COVID-19”. Gonsens: “C’è paura”

(Photo by Emilio Andreoli/Getty Images)

Coronavirus ancora da arginare e Serie A che, salvo clamorosi colpi di scena, potrebbe riprendere solamente a maggio. Casi si positività al COVID-19 anche nel nostro campionato, ma attenzione alla rettifica di Colley, difensore della Sampdoria.

Il centrale blucerchiato ha così ammesso: “Cari famigliari, amici e fan,
Grazie per i vostri messaggi e la vostra preoccupazione nei miei confronti.
Ho eseguito un esame al sangue e ai polmoni giovedì 12 marzo 2020 e i risultati erano negativi. Venerdì 13 marzo 2020 ho rifatto un altro test nasale ma i risultati erano incerti.
Posso quindi confermare che io e la mia famiglia siamo sani e salvi dal Corona Virus.
Ringrazio la Sampdoria per l’aiuto e il supporto che abbiamo ricevuto e che continuiamo a ricevere.Prego per i malati e auguro loro una pronta guarigione. Il mio cuore va anche a tutti i coraggiosi medici, infermieri ed esperti in medicina che lavorano giorno e notte per combattere il virus.

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Cari famigliari, amici e fan, Grazie per i vostri messaggi e la vostra preoccupazione nei miei confronti. Ho eseguito un esame al sangue e ai polmoni giovedì 12 marzo 2020 e i risultati erano negativi. Venerdì 13 marzo 2020 ho rifatto un altro test nasale ma i risultati erano incerti. Posso quindi confermare che io e la mia famiglia siamo sani e salvi dal Corona Virus. Ringrazio la Sampdoria per l'aiuto e il supporto che abbiamo ricevuto e che continuiamo a ricevere. Prego per i malati e auguro loro una pronta guarigione. Il mio cuore va anche a tutti i coraggiosi medici, infermieri ed esperti in medicina che lavorano giorno e notte per combattere il virus. #stateacasa #statebene Omar Colley

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Tanta paura anche per Gosens: “Abbiamo sottovalutato”

Intervistato ai microfoni della “Gazzetta dello Sport“, il difensore atalantino ha ammesso: “Mi hanno parlato di pagine e pagine dell’Eco di Bergamo piene di necrologi: una cosa spaventosa. E’ stato lì che mi sono detto: “Io e Rabea, la mia fidanzata, dobbiamo parlare: forse è il caso che lei torni in Germania”. Ma è voluta rimanere con me, e insieme abbiamo deciso che restasse”.

L’abbiamo sottovalutato tutti, io per primo. “Al massimo è un’influenza”, mi dicevo. E sono uscito, sono andato al ristorante, ho incontrato gli amici. Non conoscevamo questo nemico e la sua capacità di contagio, lo abbiamo capito solo quando i casi erano già tantissimi. Troppi. Quando ci hanno spiegato il significato di quelle due parole: zona rossa”.