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Serie A

Trentalange, Nicchi e la fine di una monarchia: arbitri, cosa cambia

Scritto da
Marco Giordano

Alfredo Trentalange è stato eletto nuovo presidente AIA: finisce la monarchia di Nicchi durata 12 anni, tra aspettative e speranze

“Perché mi candido? Per riuscire a vivere nell’AIA dei momenti di maggiore condivisione, trasparenza, progettualità e condivisione. Abbiamo un forte senso di responsabilità. Non sono il nuovo, ma l’esperienza che porta al nuovo”: con queste parole in una recente intervista, Alfredo Trentalange spiegò il motivo per cui ha voluto sfidare Marcello Nicchi, l’uomo che ha antropomorfizzato la poltrona della presidenza dell’AIA.

Una sfida importante, necessaria: per la prima volta da decenni, l’Italia non avrà un rappresentante della classe arbitrale ai prossimi mondiali. Inoltre, la stessa vocazione ad esser arbitri si sta spegnendo, con le sezioni sempre più vuote e sempre più vecchie. Da un estremo all’altro, un quadro difficilissimo: al centro, una generazione di arbitri con poca personalità, guidati in modo arcaico, chiuso alle novità, al mondo esterno. Una casta gestita da un monarca assoluto, Marcello Nicchi.

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Marcello Nicchi (Getty Images)

Trentalange sconfigge Nicchi: nuova vita per gli arbitri

Sono, essenzialmente, tre i punti sui quali verte il programma vincente di Alfredo Trentalange, grazie ai quali ha sconfitto Nicchi.

Il primo è legato alla trasparenza: in pochi sanno che ogni arbitro, per ogni gara, riceve una pagella, un giudizio. La somma di questi giudizi diventa un voto a fine anno determinante per la carriera di un fischietto, dal punto di vista economico e dal punto di vista delle ambizioni (come arbitrare in Europa). La gestione Nicchi secretava questi voti: solo dopo il caso-Gavillucci qualcosa si è mosso. Trentalange vuole una maggiore trasparenza, rendendo pubblici questi voti.

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Il secondo è collegato alla comunicazione: nel 2021 è impensabile chiudere il mondo arbitrale in se stesso. Anzi, l’Italia può esser capofila di una rivoluzione della comunicazione arbitrale, con le interviste a fine gara o nel day-after. “Credo – ha detto Trentalange – che se le persone conoscessero gli arbitri e come si preparano, il pregiudizio finirebbe. La trasparenza va costruita culturalmente, bisogna aprire canali di comunicazione con giornalisti e scuole”.

Il terzo è la vocazione arbitrale: legare il tesseramento all’Associazione Italiana Arbitri anche a quello delle scuole calcio. Un’ipotesi di doppio tesseramento che potrebbe sviluppare il desiderio di coltivare il doppio binario, quello di calciatore e quello di arbitro.

 

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