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Euro2020

Italia, perché il tiro a giro di Insigne è un simbolo antirazzista

Scritto da
Marco Giordano

L’Italia del calcio è lo specchio di un Paese che nel 2021 mostra il suo razzismo sul Black Lives Matter. E sul tiro a giro

Michelle Bachelet e Lorenzo Insigne, forse, non si incontreranno mai. Francamente, non so neppure se l’una conosce l’altro e viceversa. Eppure, hanno molto più in comune di quello che pensano. Michelle Bachelet riveste l’incarico di l’Alto commissario ONU per i diritti umani. Lorenzo Insigne, invece, ha il compito di trascinare l’Italia ed il Napoli, provando a far gioire tifosi ed appassionati.

La Bachelet, poco meno di una settimana fa ha lanciato un grido d’allarme passato, orrendamente, sotto silenzio. Dopo l’omicidio di George Floyd, l’Alto Commissario ha mostrato in un rapporto ONU (quindi, non parliamo di anarchici sovversivi) le brutalità delle polizie in Europa e nelle Americhe sulla comunità nera, intimando la necessità di: “smettere di negare e iniziare a smantellare il razzismo, porre fine all’impunità e costruire fiducia, ascoltare le voci delle persone afrodiscendenti e di affrontare le eredità del passato, fornendo una riparazione”.

Qualche riga sui giornali, qualche articolo sul Web, nessuno sui social che ne parlasse. Si è discusso, tanto, di una Nazionale che si inginocchia senza crederci. Dopo aver letto il rapporto ONU, ho provato enorme disagio: una Nazionale come la nostra, mi ripetevo, non può non capire che quel gesto di sostegno ad un movimento, Black Lives Matter, serve a sensibilizzare quei poliziotti che hanno usato violenza. Serve a dire “Basta!” a quelle persone che hanno visto ed hanno girato lo sguardo, a quelli che giudicano per il colore della pelle, a quelli che ancora non capiscono che è solo una questione di mero culo ad esser nati bianchi a Roma e non neri a Mogadiscio.

Il razzismo in Italia è nascosto, non combattuto

L’Italia è diventata il simbolo, invece, del suo antico retaggio culturale, che non ha neppure il coraggio di definirsi razzista. Lo è. Ma, ha paura di dirlo. Lo nega a sé stesso, come ha spiegato la Bachelet.

L’Italia è un paese razzista nelle chat e non sui social, perché ha paura di esser scoperto. L’Italia è razzista al bar e non nelle piazza, perché ha paura di esser sentito. L’Italia è razzista su Telegram e non su Tik Tok, dove fa un sorriso compassionevole a Khaby Lame, perché è stato il mondo lontano dai nostri confini ad aver imposto che fosse accettato.

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Lorenzo Insigne (Getty Images)

Il tiro a giro è simbolo di resistenza al razzismo in Italia

Arrivo al nesso tra Michelle Bachelet e Lorenzo Insigne. L’Alto Commissario ha implorato di cancellare la negazione della presenza del razzismo. Insigne, invece, è il simbolo di quel razzismo strisciante del nostro paese. Schiettamente napoletano, arrivato dal disagio economico e sociale, si è preso la 10 della Nazionale senza esser un inattaccabile pallone d’oro.

Non è nero, è etero e non si è mai fatto paladino di qualche battaglia: si può buttare merda su di lui, senza finire nel tritacarne mediatico. Insigne è l’oggetto perfetto per sfogare i sentimenti di odio che albergano in troppi connazionali. Inoltre, è il simbolo di una squadra che lotta ma non vince, come il Napoli: è perfetto per esser oggetto di strali razzisti, ma anche per tirar fuori tutta la sudditanza psicologica per chi non appartiene al triangolo di potere del nostro calcio.

Mi sono trovato, per giorni, il telefonino inondato di messaggi del tipo: “Non serve a niente, sto napoletano”, “Ma che c’entra con la 10 sto cafone!”, “Basta con questo tiro a giro, non serve ad un cazzo! Ma che ignorante”. Questi sono stati i più delicati. E non manca mai l’epiteto alla provenienza.

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Insigne, come la Bachelet, va avanti. Non è un campione alla Messi. Non è un dio del calcio. Lorenzo è un simbolo. Della dedizione, della lotta ai pregiudizi, della volontà che supera i limiti, dell’amore (per il calcio e per la Nazionale) che batte l’odio strisciante nei suoi confronti.

Anche oggi, su qualche più o meno noto media, le pagelle di Insigne sono macchiate da quella sufficienza di chi non giudichi alla tua altezza. Dentro quei giudizi è come se ci fosse scritto: “Si, ti accetto, ma solo perché sono costretto”. Una vergogna che ricade su chi ha stilato questi giudizi. L’Italia dovrebbe ringraziare Insigne, il suo tiro a giro è un simbolo di resistenza contro il razzismo strisciante e l’odio che va sversato da frustrati e razzisti che, nell’anno domini 2021, in Italia sono tanti. Troppi.

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