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Opinioni & Rubriche

L’addio a Pelé significa anche l’addio al calcio del ‘900

Scritto da
Giancarlo Di Stadio

La scomparsa di Pelé segna la fine di un’epoca. Dopo gli addii a Maradona e Cruijff si chiude il sipario sul calcio del secolo scorso.

L’addio a Pelé, spentosi proprio in questi giorni all’età di 82 anni, ha fermato il mondo del calcio. La stella brasiliana, vincitori di ben 3 Mondiali con la selezione verdeoro, è stato giustamente omaggiato dall’intero mondo calcistico e non solo. A dimostrazione di quanto la sua figura fosse ‘oltre’ lo sport.

Murales di Pelé e Maradona per le strade in Brasile (LaPresse) SerieANews.com

Dopo che nel 2016 ci aveva lasciato Johan Cruijff e nel 2020 Diego Armando Maradona, un altro grande del calcio del ‘900 si spegne. Un altro che, proprio per la sua grandezza, non può essere ridotto, come i due già citati, a semplice sportivo. Perché Pelé, come Maradona e come Cruijff, è stato molto più che calcio, molto più che sport. Non ce ne vogliano i tanti talenti degli anni ’70 e ’80 che sono ancora tra noi. Non ce ne vogliano i Platini o i Van Basten. Ma con Pelé non si spegne solo il calciatore, l’atleta, lo sportivo, l’uomo: si spegne definitivamente ciò che era il calcio del ‘900.

Se Cruijff è stato colui che ha maggiormente rivoluzionato in senso tattico il gioco, e se Maradona è stato colui che ha portato il calcio ad assumere una dimensione sociale e di popolo che non aveva mai assunto prima, icona di una religione senza atei, un culto dalle Ande alle al Vesuvio, Pelé è stato il primo calciatore davvero globale.

Uno striscione per Pelé esposto durante gli ultimi Mondiali a Doha (LaPresse) SerieANews.com

Pelé, il primo vero calciatore globale

Chiariamo, anche prima di Pelé, il calcio, così come gli altri sport avevano i loro idoli e i loro eroi. Ma nessuno di loro era davvero un’icona globale, un nome capace di accomunare dalla Scandinavia al Capo, dalla California alla Cina, dal Brasile all’Europa. Certo, c’erano ad esempio i Joe Di Maggio nel baseball o i Coppi e Bartali nel ciclismo. Ma erano sempre confinati ad una dimensione nazionale, al massimo continentale. Nessuno prima di Pelé era riuscito a raggiungere una dimensione globale. E il calcio con lui.

Con Pelé, con l’epopea del suo Brasile, il calcio diventa l’unica religione capace di unire il mondo intero. Il Mondiale passa da essere uno dei tanti eventi sportivo ad essere l’evento sportivo, il momento in cui miliardi di persone si fermano per 90′, solo perché c’è la finale.

Anche gli USA, una delle ultime isole eretiche nelle quali il ‘soccer’ non attecchisce, come si ostinano a chiamarlo perché per loro, solo per loro, il ‘football’ è un altro sport, cedono davanti a Pelé. E i New York Cosmos, nonostante nel calcio siamo di fronte all’unico caso in cui New York è periferia del mondo, diventano anche loro iconici. Al pari del Santos, al pari del Brasile.

Dopo di lui un tale livello di salto in avanti, come detto, lo si farà solo con Cruijff, con il calcio totale olandese, e infine con Maradona. Il canto del cigno del vecchio calcio, quello del ‘900, delle prime partite in TV, della Coppa Rimet alzata da O Rei, della Mano de Dios, Gol del Siglo, dualismo e tutto il resto. Tutto ciò che è venuto e verrà dopo ha trovato già un palco apparecchiato, un mondo proiettato verso la pay-tv, l’esasperazione dello spettacolo, il marketing sopra ogni cosa. E l’ultimo alfiere di ciò che era stato il pallone ci ha definitivamente lasciato.

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