Certe storie non hanno bisogno di presentazioni. Due ragazzi da angoli opposti del mondo si ritrovano a inseguire lo stesso sogno. Sul campo parlano solo di calcio, ma il resto parla da sé
Succede qualcosa di speciale quando lo sport riesce a scavalcare la politica. Non servono proclami, né striscioni. Basta un passaggio ben riuscito, un gol condiviso, una corsa sotto la curva abbracciandosi. A volte il campo riesce dove falliscono i tavoli di trattativa. Succede raramente, ma succede. E quando succede, lo senti.
In una squadra europea, giovane, ambiziosa, costruita per formare talenti e rivenderli al momento giusto, oggi giocano insieme un trequartista israeliano e un attaccante con radici palestinesi. Stessa maglia, stessa stagione, stessa voglia di sfondare. E no, non è una favola: è il Salisburgo, che il 19 giugno esordirà al Mondiale per Club contro il Pachuca.
Oscar Gloukh, classe sopraffina, è arrivato nel 2023 dal Maccabi Tel Aviv per 7 milioni. Lo volevano in tanti, e a ragione: ha la tecnica nel piede destro e la visione di un regista brasiliano. In Israele lo considerano un predestinato, ma lui è cresciuto con i piedi per terra. Il padre, ex calciatore tra Ucraina e Moldavia e poi maestro di karate, gli ha insegnato disciplina e concentrazione.
Adam Daghim, invece, è arrivato un anno dopo, più in silenzio, senza i titoli dei giornali. Nato in Danimarca da genitori palestinesi, si porta dentro quella fame e quella mentalità diretta, senza fronzoli, di chi ha imparato presto a non avere paura di nulla. Corre, segna, rifinisce. E quando c’è da mettersi in mezzo tra difensore e porta, ci va senza pensarci due volte.
Entrambi, in modi diversi, sono esplosi. Hanno giocato oltre 1.700 minuti in stagione, prodotto gol, assist e geometrie. Ma soprattutto hanno costruito qualcosa che non si può insegnare: un’intesa. Quella che nasce solo quando condividi qualcosa di più di una palla.
Gloukh e Daghim, un israeliano e un palestinese nella stessa squadra
A marzo, Gloukh ha vissuto un momento che ti cambia. Uno dei suoi migliori amici d’infanzia, diventato ufficiale dell’esercito israeliano, è morto a Gaza. Oscar è volato al funerale, ha parlato davanti alla famiglia, e pochi giorni dopo ha dedicato un gol a lui e a tutti i soldati impegnati nella guerra. Non era una mossa mediatica. Era solo un ragazzo che provava a trovare un senso.
Daghim, da parte sua, si è trovato a un bivio. Avrebbe potuto scegliere la Palestina, come suo fratello Ahmed, più grande di due anni. I documenti erano già in preparazione, i tifosi lo spingevano, qualcuno in Danimarca aveva storto il naso. Ma poi è arrivata la chiamata dell’Under 21 danese. E il suo agente gli ha detto: pensa alla carriera, al tuo futuro. Non è stato semplice. Ma ha accettato. E poco dopo è arrivata la chiamata del Salisburgo.
Oggi Oscar Gloukh e Adam Daghim condividono uno spogliatoio, si cercano in campo, si passano il pallone. Non parlano di politica, probabilmente, o forse sì, chissà. Ma il messaggio che mandano esiste, anche se non lo dicono a parole. E in una competizione che metterà in mostra tanti giovani talenti c’è anche spazio per un messaggio indirettamente politico, in questo momento così complicato per la nostra umanità.
Nessuno dei due ha scelto l’altro, e forse è proprio questa la cosa più bella. Perché non si sono uniti per fare una foto o per lanciare un messaggio a effetto. Si sono semplicemente trovati. E, una volta trovati, hanno iniziato a giocare insieme. Come se tutto il resto, per novanta minuti, potesse davvero restare fuori dal campo.