Trent’anni fa iniziò tutto con un principio di libertà. Oggi, qualcosa si muove nella direzione opposta. Le regole non sono cambiate, ma forse è cambiato il modo di farle rispettare
Trent’anni fa, un calciatore semi-sconosciuto cambiò per sempre le regole del gioco. Jean-Marc Bosman, belga, centrocampista onesto e poco altro, fece causa al suo club per poter cambiare squadra a fine contratto.
Vinse. E da quel momento, nacque il calcio moderno: procuratori protagonisti, parametri zero strapagati, contratti monstre a ogni latitudine. Un effetto domino che ha portato i club a rincorrere, i calciatori a dettare legge, e i conti – quelli veri – a saltare.
Ma fermiamoci un attimo: Jean-Marc Bosman non ha rovinato il calcio. L’ha liberato. È stato un rivoluzionario, e come spesso accade ai rivoluzionari, il mondo dopo di lui ha preso una direzione imprevista. Ha aperto la strada ai diritti dei calciatori, ma su quella strada hanno poi corso a tutta velocità procuratori famelici, club troppo compiacenti e una dinamica di mercato diventata ingestibile.
Oggi, trent’anni dopo, non serve smentire Bosman. Serve semmai ammettere che quel sistema “libero” si è trasformato in un eccesso che ha ingabbiato anche i club più ricchi. E se il PSG, con Donnarumma, prova a invertire la rotta, non lo fa contro Bosman, ma forse per riprenderne lo spirito originario: rimettere al centro il merito, l’equilibrio, la sostenibilità.
Un “caso Bosman al contrario”, allora, non come negazione della rivoluzione, ma come tentativo di ritrovare un senso dentro una realtà che ha perso la bussola.
Il contratto di Donnarumma e la svolta del PSG
Gianluigi Donnarumma è in scadenza di contratto col Paris Saint-Germain nel 2026. Ha ancora un anno davanti, ma il club ha deciso: meglio venderlo adesso. Perché lui, considerato da molti il miglior portiere al mondo, non accetta la formula proposta per il rinnovo. Non è solo una questione tecnica, anche se Luis Enrique predilige portieri abili coi piedi e da tempo strizza l’occhio a Chevalier. Il vero nodo è contrattuale.
Il PSG ha offerto a Donnarumma un rinnovo con ingaggio base contenuto e bonus legati al rendimento. Nessun aumento automatico, nessuna rincorsa al passato. Vuoi di più? Guadagnatelo. È la stessa formula già accettata da Chevalier. Eppure, Donnarumma, assistito dalla squadra che fu di Raiola, chiede un aumento. E allora il club si è fermato. Sta forzando la mano. È disposto anche a perderlo e a mandarlo in Premier.
Questo è il passaggio chiave. È la rivoluzione. Perché ragionare in questi termini può diventare contagioso. Può aprire la strada a un calcio più sostenibile, dove gli stipendi non siano premi a prescindere, ma conquiste da meritarsi. Dove il nome stampato sulla maglia non basta più per garantirsi dieci milioni a stagione. Serve rendimento. Serve coerenza.
E non è un dettaglio che tutto questo succeda a Parigi, dopo una Champions vinta e con uno dei simboli del successo. È il miglior momento possibile per lanciare un segnale, e il fatto che a farlo sia proprio uno di quei club che questo sistema l’ha alimentato nei modi più folli la dice lunga su quanto siamo arrivati a un punto di saturazione.
Forse ci stiamo solo illudendo, anche perché una rondine non fa mai primavera, ma se invece questa linea dovesse diventare una tendenza, allora sì, potremmo essere davanti a un nuovo cambio di paradigma. Non più calciatori viziati e irraggiungibili, ma professionisti valutati per quello che danno. Non più stipendi ingiustificabili, ma premi meritati.
Trent’anni dopo Bosman, forse si torna a parlare di equilibrio. Non per legge, ma per scelta.