Un volto in primo piano, gli occhi fissi oltre l’orizzonte. L’attimo prima di un dramma sportivo che coinvolse il capitano del Milan e della Nazionale. Oggi quello stesso sguardo ritorna, in una sfida ancora più grande
Ci sono immagini che restano nella storia, nella memoria collettiva di chi ha vissuto quell’epoca e oggi ci si rivede ancora. Gli occhi di Grosso quando calcia il rigore a Berlino per i millennials, il rigore di Baggio a Pasadena nel ’94. Ma quel giorno non sbagliò soltanto lui: sbagliò anche un uomo straordinario che aveva appena compiuto un’impresa epica.
Un volto, due occhi che fissano un punto lontano, e tutto quello che c’è intorno scompare. È il 23 giugno 1994, Mondiali di calcio negli Stati Uniti, Italia-Norvegia. Franco Baresi ha lo sguardo di chi sa che sta per affrontare una battaglia, ma non ha ancora idea che, da lì a poco, il destino gli presenterà un conto salatissimo.
Quello sguardo, fermo e fiero, è il marchio di fabbrica di un capitano vero. Poi, il campo. Un contrasto, il ginocchio che cede, il menisco che si rompe. Per chiunque altro, la parola “fine” sarebbe già comparsa in sovrimpressione sulla carriera mondiale. Per lui, no.
In meno di un mese, Baresi fece quello che i medici stessi definivano impossibile: recuperò e giocò la finale contro il Brasile, guidando la difesa azzurra come se niente fosse. Novanta minuti senza sbagliare un intervento, lasciando Romario e Bebeto nel limbo dell’impotenza calcistica. Poi, durante i rigori, che sbagliò anche lui, il volto suo e quello dei compagni si contrasse nel dolore e nella delusione. Ma lo sguardo, quello no: era lo stesso di prima, lo stesso che oggi torna a farsi vedere.
Un’altra sfida, un altro campo di gioco: come sta Franco Baresi dopo l’operazione
Oggi, quel capitano non indossa più i parastinchi, ma la partita che sta giocando è ancora più dura. Franco Baresi, 65 anni, bandiera e vicepresidente del Milan, è stato operato nei giorni scorsi per un nodulo al polmone. L’intervento è andato bene, senza complicazioni, e ora sta seguendo una terapia di consolidamento con immunoterapico.
Il tumore al polmone è una malattia subdola, tra le più aggressive. Lo spiega bene Giuseppe Cardillo, direttore della Chirurgia toracica del San Camillo Forlanini di Roma, all’AdnKronos: solo un paziente su quattro è operabile, e quando la diagnosi arriva tardi l’aspettativa di vita è bassa. L’eccezione è quando lo si scopre subito: in quel caso la sopravvivenza a cinque anni può sfiorare l’80%.
Il problema è che i sintomi arrivano tardi: perdita di peso inspiegabile, tosse insistente, sangue nell’espettorato. Troppo spesso, segnali che compaiono quando la partita è già in salita. È per questo che lo screening nei forti fumatori – l’85% dei casi – diventa vitale. Eppure, ci sono anche pazienti non fumatori, dove il fattore di rischio è familiare: chi ha avuto un genitore colpito dovrebbe pensare a un controllo intorno ai 50-55 anni.
Baresi e il duro recupero: un maestro del “mental” come lui può farcela
Nel caso di Baresi, la tempestività dell’intervento e l’assenza di complicazioni post-operatorie sono due notizie che fanno ben sperare. “Oggi l’operazione può essere eseguita in maniera mininvasiva, anche con il robot – precisa Cardillo – e il paziente può tornare a una vita normale”.
Il recupero fisico, però, è solo una parte della storia. La vera sfida è mentale. E qui, Franco Baresi ha già scritto un manuale: ha insegnato a non mollare, a stringere i denti, a guardare l’avversario negli occhi. Che sia Romario o una diagnosi difficile, il suo approccio non cambia.
Quello sguardo di USA ’94 non è un ricordo nostalgico: è un presagio. Perché se c’è qualcuno capace di rientrare in campo quando sembra impossibile, è proprio lui. E questa partita, per quanto dura, ha già trovato il suo capitano.