Il calcio italiano vive un paradosso che dura da troppo tempo. Stavolta la protesta ha un suono diverso perché arriva dagli allenatori. E forse è il momento di cambiare davvero
Archiviata, o quasi, la prima giornata di campionato, è il momento di tornare a bomba sul mercato. È l’ultima settimana della finestra di trasferimenti, quella che si preannuncia come sempre bollente.
Squadre attivissime in entrata e in uscita, piani che cambiano ogni giorno, rose incomplete. Un cantiere aperto che rende difficile pure respirare. E in questo contesto, a far sentire la propria voce sono stati gli allenatori.
La questione è chiara: non si può andare avanti così. Ha aperto Gasperini, ha proseguito Tudor, poi via via altri colleghi tra cui anche Christian Chivu. Buon ultimo Vincenzo Italiano, che dopo la sconfitta contro la Roma ha detto la sua senza girarci intorno. Il filo rosso è uno solo: mercato aperto a campionato già iniziato, una follia.
Perché il problema non è teorico, ma pratico. Preparare una squadra quando i giocatori hanno ancora la valigia mezza pronta o la testa a una chiamata dall’estero significa non lavorare mai davvero. Allenamenti falsati, partite che rischiano di essere solo vetrine. Un disastro per chi deve programmare, organizzare, dare stabilità.
Il fastidio cresce se guardi a quello che accade altrove. C’è stato un momento nel quale il mercato ha chiuso a ridosso di Ferragosto: era il 2018 e la sessione terminò il 17 agosto, un giorno prima dell’inizio del campionato. Non era per niente un’idea sbagliata. Squadre definite già alla prima giornata, nessuna ansia ulteriore. Poi tutto è scivolato, fino a questa normalità che normale non è.
E nel frattempo altri campionati fanno peggio: l’Arabia Saudita e adesso pure la Turchia tengono il mercato aperto più a lungo. Un rischio costante, perché a fine agosto basta una loro offerta per sfasciare i piani di un club italiano o – in qualche episodio – per risolvere casi spinosi, come ad esempio lo scorso anno il Napoli con Osimhen al Galatasaray.
Le squadre medio-piccole lo sanno meglio di tutti. Basta perdere un titolare a ridosso del gong per ritrovarsi con una stagione stravolta. E non è che hai tempo o soldi per rimediare ad alcuni problemi che comunque c’erano e in alcuni casi sono stati risolti bene. Per questo le voci contrarie quest’anno non sono solo più numerose, ma anche più dure. L’insofferenza è palese.
C’è chi sogna un allineamento europeo, con una data unica per tutti. Difficile, quasi utopico. Ma almeno l’Italia potrebbe dare un segnale, chiudendo prima dell’inizio del campionato. Sarebbe già un passo avanti logico, quasi banale nella sua evidenza.
Il punto è che la Serie A si ritrova ogni anno nello stesso pantano. Ogni stagione gli allenatori si lamentano, ogni stagione la Lega fa spallucce. Ma adesso la voce è diventata coro. E un coro, quando si fa compatto, può anche spingere chi decide a cambiare davvero le regole del gioco. Perché continuare così non è più un’opzione.
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