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Serie A

Donnarumma, i fischi e il pezzo di colpa che non risparmia nessuno

Scritto da
Mirko Calemme

Domani si conclude una Nations League che ricorderemo per i fischi a Donnarumma, brutta pagina nella storia della Nazionale

La Nations League sta per giungere al traguardo. Domani, a San Siro, Francia e Spagna si contenderanno un titolo che in pochi hanno compreso, ma che una volta alle finali nessuno vuole perdere.

All’Italia toccherà competere a Torino per il terzo posto. Sarà in palio una medaglia di bronzo che Courtois ha definito inutile. Difficile dargli torto: se la tristissima ‘finalina’ è stata abolita anche dall’Europeo addirittura nel 1984 un motivo ci sarà. Il calcio moderno, però, ha le sue ragioni, che la ragione non conosce.

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Al di là di ciò che accadrà all’Allianz col Belgio, di questa settimana ricorderemo soprattutto due fatti: l’addio alla leggendaria striscia di risultati utili azzurra e i fischi a Donnarumma. Una situazione spigolosa, nella quale è francamente difficile trovare vittime e carnefici. 

Il primo errore, probabilmente, è stato commesso proprio dallo stesso Gigio. E non mi riferisco alla scelta di andare al PSG. Cambiare casacca nel calcio di oggi è naturale, ma farlo a parametro zero, a 22 anni e da miglior portiere al mondo, non può non causare rabbia e polemiche. Dichiarare a pochi giorni dalla sfida “i fischi mi dispiacerebbero, spero non ci siano” fa assumere alla vicenda i contorni sociologici di una profezia che si autoadempie. Sarebbe stato più saggio, forse, utilizzare altri toni, comprendere la rabbia ed accettare una contestazione. Le sue frasi sono state prese quasi come una provocazione. E hanno sortito l’effetto opposto.

Le ultime dichiarazioni di Mino Raiola hanno poi ulteriormente alzato una tensione già alle stelle. Accusare il Milan e parlare di “fischi digustosi” non è di certo un scelta conciliante verso i tifosi. Per i quali, ormai, se parla l’agente è come se lo facesse il calciatore.

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Gigio Donnarumma (Getty Images)

Donnarumma, fischi inevitabili. Ma i 90 minuti restano sacri

Detto ciò, quanto accaduto durante Italia-Spagna non è stato una bella pagina della storia azzurra. Ero presente a San Siro e la pioggia di fischi che cadeva su Donnarumma appena sfiorava il pallone era inquietante. La sconfitta non è dipesa dal clima intorno al portiere (la Spagna era più forte, ma il vero guaio è stato il rosso a Bonucci), però era evidente che il ragazzo fosse in confusione e in gare di questo livello ogni dettaglio ha un suo peso.

Il pubblico, piaccia o no, non è solo contorno. Partecipa allo spettacolo e spesso sa anche indirizzarlo. I tifosi hanno il sacrosanto diritto di protestare perché restano i padroni del calcio, coloro che lo tengono in piedi investendovi soldi, passione e sentimenti. 

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Resto del parere, però, che la partita sia una liturgia e che i 90 minuti restino sacri. Durante la gara, il pubblico di casa sostiene, è il suo compito. Avrei compreso perfettamente una contestazione durante il riscaldamento, uno striscione provocatorio (di certo non di insulti e di minacce: quelli sono inaccettabili), magari anche qualche fischio ai primi tocchi di palla. Ma, col passare dei minuti, la priorità doveva restare la partita. Sembrava, invece, che in molti fossero al Meazza più per insultare Donnarumma che per tifare Italia. Un peccato: la Nazionale di Mancini, che si giocava un titolo e teneva in piedi un record leggendario, meritava altro.

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