La premiazione dell’Argentina sta diventando un caso mediatico e politico. Può un abito rovinare il Mondiale perfetto di Messi?
Se gli dei del calcio, tra cui siede, forse nel posto più alto, anche Diego Armando Maradona, avevano pensato ad un happy ending degno della carriera di Messi, quello era proprio la finale di ieri sera. Chiariamoci, dopo una partita del genere, anche una sconfitta non avrebbe inficiato il valore della Pulce.
La vittoria e la Coppa del Mondo alzata al cielo di Doha hanno però reso l’ultimo ballo dell’attaccante argentino con la sua nazionale una chiusura perfetta. O quasi. Già perché se a livello di campo è pressoché unanime il giudizio su quanto sia stato grande Lionel Messi in questo Mondiale e quando sia stato determinante per il successo della sua Argentina, ciò che è successo durante la premiazione rischia di lasciare una macchia su quello che, ripetiamo, era il finale perfetto.
Galeotto fu il bisht, la tipica tunica araba che Messi ha indossato ieri durante la premiazione. O meglio, che l’Emiro del Qatar Tamim bin Hamad Al Thani, sotto lo sguardo compiaciuto del numero uno della FIFA Gianni Infantino, ha fatto indossare a Messi. Al Thani che, ricordiamolo, nel 2005 ha fondato la Qatar Sports Investments la quale possiede il PSG, squadra dove attualmente gioca Messi.
I primi a storcere il naso per la cosa sono naturalmente stati quelli di Adidas, sponsor tecnico dell’Argentina. Vedersi ‘oscurata’ la maglia con il proprio logo non deve essere stato un bel momento per chi, ricordiamolo, investe milioni di euro sperando di comparire proprio in queste occasioni.
La polemica, dal mero punto di vista economico, si è spostato sul piano simbolico e politico. A fronte di chi giudicava esagerate le proteste, in molti si sono lamentati del palese conflitto d’interessi dell’emiro qatariota. La Qatar Sports Investment infatti, come detto, è proprietaria del PSG. In pratica secondo alcuni Messi sarebbe stato quasi moralmente obbligato ad indossare l’abito in quanto a chiederglielo era il suo ‘datore di lavoro’.
In molti ci hanno visto un tentativo, l’ennesimo, da parte del Qatar di fare un po’ di -washing su di un Mondiale che, fin dal primo momento, è stato al centro delle polemiche per le morti sul lavoro e la mancanza di diritti civili nell’emirato. Altri invece ci hanno visto un gesto più sottile, una sorta di ‘messaggio’ implicito da parte dei petrodollari del Qatar: anche nel momento più alto per una nazione, il culmine del senso d’appartenenza, noi, con i nostri soldi, possiamo coprire tutto e tutti.
Naturalmente c’è anche chi ha voluto ridimensionare la polemica, riportando tutto ad una dimensione sportiva. La domanda a questo punto però sorge spontanea: davvero basta un’abito tipico del luogo per rovinare l’impresa sportiva di Lionel Messi?
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