L’Inter è reduce dal 4-0 in Champions League contro l’Union Saint Gilloise ed è seconda in campionato: sabato la sfida al Napoli con i nerazzurri che puntano al titolo
Nessuno ci avrebbe scommesso un euro. Sette vittorie consecutive, un gruppo ricompattato, e una squadra che torna a guardarsi allo specchio senza vergogna. Ma solo pochi mesi fa, l’Inter sembrava una barca alla deriva: stanca nelle gambe, svuotata nell’anima. Che cosa è successo in così poco tempo? La risposta ha un nome e cognome, e una storia che merita di essere raccontata. Ma non è quella che pensate.
Un ingresso in punta di piedi (ma con le idee chiare)
Quando Cristian Chivu ha varcato le porte di Appiano Gentile, più di uno ha storto il naso. Esperienza minima in Serie A, un’etichetta da ex glorioso, ma poco altro. Eppure, è proprio da quell’”altro” che è iniziato tutto. Il primo merito del tecnico rumeno? Essersi messo in ascolto. Ha capito in fretta dove fare leva: le persone prima dei calciatori, le emozioni prima delle tattiche.
Lui, che l’Inter l’ha vissuta sulla pelle, ha saputo parlare la stessa lingua di chi si stava perdendo. Lautaro, Barella, Calhanoglu, gente abituata a combattere, si è trovata davanti un uomo, prima che un allenatore. Non un salvatore, ma un punto di riferimento. E questo ha fatto tutta la differenza. Il primo passo è stato chiaro: creare una connessione vera con lo spogliatoio.
La fase due: regole, sacrifici e un patto non scritto
Una volta conquistata la fiducia, Chivu ha cambiato marcia. Con la credibilità in tasca, ha chiesto (e ottenuto) qualcosa in cambio: impegno totale, voglia di faticare, disponibilità al cambiamento. È qui che nasce la seconda rivoluzione. “Sono felice di far parte di un gruppo che si è reso allenabile”, ha detto dopo il 4-0 esterno contro l’Union Saint Gilloise. Una frase passata quasi sotto silenzio, ma che spiega molto più di mille conferenze stampa.
Sono cambiate le abitudini, i ritmi, persino il modo di stare insieme fuori dal campo. A dare il buon esempio? I senatori. Da Acerbi a Mkhitaryan, tutti hanno alzato l’asticella. E i giovani hanno seguito, sentendosi finalmente parte di qualcosa. È tornata la fame, sì, ma anche il sorriso. Una combinazione che raramente mente. E che spesso fa la differenza.
Adesso viene il difficile: restare lucidi quando vinci
La gestione del gruppo è la vera sfida quotidiana. Lo sa bene Chivu, che non si lascia sedurre dai risultati. Per lui conta il presente, nulla più. Dopo il turbolento post-partita di Torino, con toni accesi nello spogliatoio, è arrivata la svolta definitiva: giocare bene è un dettaglio, essere squadra è la missione. Anche a costo di “piacersi un po’ di meno”, come ama dire lui.
Il risultato? Un gruppo equilibrato, in cui giovani come Pio Esposito trovano spazio senza essere bruciati, e i più esperti gestiscono le forze con intelligenza. Non c’è più ansia da prestazione, ma consapevolezza nei propri mezzi. L’Inter non è ancora guarita del tutto, ma ora ha un’anima. E un allenatore che ha fatto della normalità una piccola rivoluzione.
Forse non è solo questione di moduli o strategie. Forse, ogni tanto, serve qualcuno che sappia toccare i tasti giusti, senza alzare la voce. Chivu non ha promesso nulla. Ma in quattro mesi ha risvegliato una squadra che sembrava spenta. Quanto durerà? Questo lo dirà solo il tempo. Ma intanto, una cosa è certa: qualcuno ha ridato all’Inter il coraggio di guardare avanti.