“Ormai è un calcio di…”: PSG, la stoccata di Berlusconi

Il calcio di oggi non piace più molto a Berlusconi, che in un’intervista afferma che non sia più un affare per famiglie ma solo per magnati.

A metà degli anni ’80 dello scorso secolo il mondo del calcio italiano ed europeo è stato travolto dall’uragano chiamato Silvio Berlusconi. Imprenditore in costante ascesa, l’allora presidente Fininvest acquistò il Milan e lo portò sul tetto del continente, cambiando il calcio e portandolo nell’epoca moderna.

Merito di Arrigo Sacchi e Fabio Capello, i suoi primi grandi allenatori, certo. Ma anche di una politica estremamente aggressiva in termini di calciomercato che portò il Milan ad acquistare i migliori calciatori dell’epoca per costruire una squadra fantastica e quasi irripetibile. Una mossa, quella del Diavolo, che fu seguita da una serie di investimenti sempre più importanti da parte dei migliori club al mondo.

Nonostante abbia fatto scuola, Silvio Berlusconi – oggi presidente del Monza – non sembra apprezzare molto il calcio di oggi. E sottolinea che quello della sua epoca era differente. Più un affare di famiglia, qualcosa in cui era comunque possibile identificarsi, rispetto a quello di oggi che vede protagonisti sceicchi, emiri e fondi di investimento.

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Milan Coppa dei Campioni 1989
Il Milan di Berlusconi ha rivoluzionato il calcio europeo (LaPresse)

Berlusconi sul calcio di oggi: “Una cosa per magnati, sceicchi e fondi”

Lo ha affermato nel corso di un’intervista rilasciata per celebrare i 35 anni del portale “MF – Milano Finanza”: “35 anni fa una famiglia poteva farsi carico di una società di calcio, era possibile, e la squadra si poteva identificare anche con una città. Il calcio di oggi invece riguarda la finanza internazionale, con petrolieri arabi, magnati russi e fondi di investimento americani che rappresentano i grandi protagonisti.”

Da navigato uomo d’affari qual è Berlusconi non condanna quello che il calcio è diventato, ma si limita a sottolinearne le differenze. Lasciando comunque intendere una visione piuttosto critica nei confronti di realtà come quella del PSG.

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“È tutto normale e legittimo, un processo inevitabile considerando le cifre che ci sono in gioco. Ma allo stesso tempo lontano dall’appartenenza, dal territorio, dalla passione sportiva.”