Ancora un anno senza Davide

Il 4 marzo del 2018, una domenica mattina, a 31 anni, la morte prematura di Davide Astori, capitano della Fiorentina e calciatore di tutti. 

Dov’eravamo quella mattina qualsiasi, prima del match della domenica, Udinese-Fiorentina? 27esimo turno del campionato di Serie A.

Niente, probabilmente non stavamo facendo niente. Stavamo soltanto aspettando. Aspettando, come i compagni di squadra, che Davide uscisse dalla sua stanza e andasse a fare colazione, alle 09:30. Puntuale, al solito. Io, invece, stavo andando a un pranzo di compleanno quando lessi: “É stato trovato morto Davide Astori, nell’albergo dove alloggiava la Fiorentina”. Ma va, fake news. E invece…

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La scomparsa di Davide Astori

Astori dirige la difesa della Fiorentina
Davide Astori – Fiorentina (GettyImages)

Nessuno immagina il posto dove morirà. Davide non avrebbe mai potuto immaginare l’Hotel Là di Moret, a Udine. Perché un calciatore semplicemente non se ne va, al massimo si ritira sulla soglia dei 40 anni.

Lui ne aveva appena 31 e non aveva mai fatto troppo rumore. Gentile, pacato, un difensore mancino bravo nei colpi di testa, un direttore d’orchestra del reparto arretrato di (tra le altre) Cagliari, Roma, Fiorentina. Onesto operaio anche della Nazionale italiana, con la quale si era tolto anche lo sfizio di segnare, nella finale per il terzo posto, una rete all’Uruguay nella Confederations Cup del 2013, in Brasile. Ancora ambizioso, prima che si fermasse il cuore.

Astori esulta dopo il gol all'Uruguay con l'Italia
Astori in Confederations Cup con l’Italia

L’epilogo

“Morte per cause naturali”, si dice. Ma cosa significa? Davide Astori è morto molto probabilmente (ancora s’indaga) per un arresto cardiocircolatorio, pur non essendoci stati segni premonitori rispetto ad alcun problema, in precedenza. L’ultimo a vederlo è stato l’ex compagno di squadra, Marco Sportiello, la sera prima. Davide, infatti, dormiva da solo. Gli piaceva così. E così se n’è andato: in silenzio. Senza gridare, senza soffrire e senza rendersene conto. Forse avrà pensato di non dare fastidio, nemmeno a Vittoria, che può conservare l’immagine più pacifica di suo padre.

Eppure, niente è stato più uguale. Non perché Astori fosse l’astro più brillante del calcio italiano contemporaneo e non perché avesse vinto una Champions League. Davide era amato perché faceva bene, era per bene. Era per tutti. In quell’albergo di Udine si è fermato il tempo, poi il calcio. Genoa e Cagliari, già in campo quel giorno, sconvolte, chiesero e ottennero di non disputare la partita. Fisso, senza spiegazione, lo sguardo dei calciatori. É lo stesso ancora oggi.

Il ricordo di Astori a Wembley
Davide Astori omaggiato a Wembley (GettyImages)

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Davide ha fermato il tempo. Al minuto 13 di quella giornata di Serie A applausi e lacrime, poi la sua immagine. Dovunque, da Roma a Buenos Aires. Ha fermato i gol, dedicati a lui. Il primo? Pinilla con la Universidad de Chile. Il più emotivo? Badelj che s’inginocchia a terra e piange.

Anche i calciatori pensano, seppur in campo. Anche loro muoiono, seppur non sia previsto nel compendio delle nostre idee.

Davide ha fermato il tempo, da tre anni. Io ci penso ancora, non lo dimentico mai. Ho sostituito nella mia mente le immagini più significative del calcio con la sua: prima e dopo la morte, perché Astori ha racchiuso il senso di questo gioco.

Onesto e leale, competitivo ma pulito, continuo ma mortale.

Ciao Davide, è il 4 marzo del 2021. Non è andato tutto bene, e noi ti pensiamo ancora.