Sabatini, la Nazionale e le “tragedie” del nostro calcio

Dal trionfo alla polvere in un batter d’occhio. Sabatini e la Nazionale di Mancini ultimi esempi di una consuetudine italiana

“Se fossi un uomo mite direi non drammatizziamo, è una partita di calcio. Col cazzo, la partita di calcio è una tragedia, non è un divertimento”. Walter Sabatini, per l’ennesima volta in carriera, ha vissuto sulla sua pelle la definizione del nostro gioco preferito che lui stesso ha dato durante il bel docufilm di DAZN. Il lieto fine col quale si conclude, l’insperata e storica salvezza della Salernitana, è già un ricordo lontano. Il ds e il club granata hanno dato vita oggi a una delle separazioni più assurde degli ultimi anni, giunta dopo giorni di gioia e reciproci attestati di stima sui giornali.

Sabatini e Mancini
Sabatini e Mancini (LaPresse)

A gennaio, Sabatini ha ricostruito la rosa granata alla velocità della luce, portando a casa 11 acquisti (non tutti azzeccati, e ci mancherebbe) con un investimento di circa 8 milioni di euro. Il solo Ederson, sua intuizione, oggi vale da solo il doppio. Secondo le prime ricostruzioni, pare che la rottura odierna sia dovuta a delle commissioni che Iervolino non ha gradito, ma il patron dovrà fare chiarezza e spiegare alla piazza perché ha deciso di rinunciare in fretta e furia all’artefice del miracolo che l’ha fatta impazzire, da lui investito come “plenipotenziario” appena cinque mesi fa.

Chiellini, Jorginho, Raspadori e Barella disperati contro l'Argentina
Chiellini, Jorginho, Raspadori e Barella (LaPresse)

Frizioni profonde Iervolino-Sabatini; Nazionale, va ricostruito un movimento…

Il fatto che il presidente invocasse il colpo Cavani da un lato mentre Sabatini lo smentiva dall’altro, dimostra che le fratture fossero più profonde, e che la questione commissioni (tutta da chiarire) sia stata la goccia di un vaso stracolmo. È un finale triste per una storia che aveva appassionato tutta l’Italia calcistica e non solo, ma gli epiloghi rocamboleschi dopo i grandi trionfi, per il nostro calcio, sono quasi una consuetudine. Pensiamo all’Italia di Mancini.

Meno di un anno fa ha vinto l’Europeo più che meritatamente a detta di tutti i commentatori del Vecchio Continente, ha registrato la striscia di imbattibilità più lunga nella storia delle Nazionali, entusiasmando i tifosi con risultati e gioco. Pochi mesi dopo, non ci resta niente. Ci può stare, certo, di perdere con un’Argentina nettamente più forte, ma farlo in quel modo conferma che l’Italia campione d’Europa non c’è più. Il disastro delle qualificazioni ai Mondiali ha lasciato cicatrici enormi, e Mancini ci ha avvisati: “Ricostruire sarà più difficile di quattro anni fa”.

Il nostro movimento, tranne virtuose eccezioni, fa una fatica enorme a costruire progetti a lungo termine. Siamo quelli che reputano normale continuare a convivere con i calcinacci di Italia ‘90, che ospitano senza alcuna vergogna, in stadi distrutti dal tempo, giocatori, dirigenti, tifosi e giornalisti di tutto il mondo. Fingiamo di non vedere le loro risatine, sminuendole con la supponenza che ha lentamente fatto precipitare il livello del nostro campionato. Siamo fermi agli anni ‘80, quando eravamo i più belli e i più bravi, ma la realtà è che non lo siamo più da un pezzo. Sabatini ha ragione, il calcio è una tragedia per definizione, per tutti. Noi, però, ci stiamo proprio impegnando.