Le idiozie su Insigne sono peggio del suo terribile ‘timing’

Napoli vuole che i suoi figli siano simpatici e perdenti. A Insigne, antipatico e vincente, non ha mai perdonato nulla

La separazione tra Lorenzo Insigne e il Napoli è un brutto colpo per il club, per la Serie A e anche per lo stesso attaccante, che a soli 31 anni dice addio al calcio che conta e, probabilmente, alla Nazionale. In queste righe, però, non ho intenzione di sindacare su questa scelta. 

Aurelio De Laurentiis ha ritenuto opportuno, per i suoi conti, tagliare lo stipendio del suo capitano, che ha così deciso di accettare una proposta che arricchirà la sua famiglia, i suoi figli e pure i suoi nipoti. È il riscatto sociale di cui, con grande eleganza, ha parlato Paolo Maldini. Sono posizioni legittime, che hanno entrambe una loro logica, e vanno rispettate.

Fatta questa premessa, dobbiamo riconoscere che tanti aspetti di questa vicenda potevano essere gestiti in maniera molto diversa. Cominciando dal timing di firma, annunci e presentazione social del Toronto, assolutamente pessimo. Insigne doveva evitare di farsi beccare a Roma a due giorni di una delicatissima gara con la Juventus (che poi, per inciso, ha giocato alla grande), e prima di mandare messaggi ai suoi futuri tifosi, sarebbe stato meglio dedicare qualche riga a quelli di sempre. Era ovvio che quelle immagini avrebbero scatenato l’inferno e così è stato.

Le reazioni dell’ambiente azzurro, però, sono state assai peggio dell’evidente errore di comunicazione del capitano. La Napoli popolare gli ha vomitato addosso insulti irripetibili, quella borghese lo ha trattato con lo snobismo di sempre, riproponendo la “discriminazione territoriale” per la quale i partenopei si stracciano le vesti negli stadi italiani. C’è chi mi ha scritto che Lorenzo “non è napoletano, ma di Fratta”, e non si tratta di un caso isolato. Basta cercare su un qualsiasi social “cafone Frattamaggiore” per rendersene conto. Provare per credere.

La realtà è che Napoli difficilmente perdona il successo dei suoi figli, che vuole tutti simpatici e perdenti. Insigne è, invece, un napoletano atipico, antipatico e vincente. Non è di certo un tema nuovo. Raffaele Viviani ne ha parlato all’inizio del secolo scorso con una bellissima poesia, “Campalinismo”, che Nino Taranto recita magistralmente in un video reperibile su YouTube.

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Lorenzo Insigne (LaPresse)

Insigne e lo strano ‘campalinismo’ di Napoli

Vivo professionalmente la Spagna da un decennio, e sono certo che un figlio della città così forte, cresciuto nel settore giovanile, che ha tatuato sulla pelle il simbolo del club, il suo stadio e il suo idolo, lì sarebbe intoccabile. Qui, invece, viene definito pezzente salito, cafone, sopravvalutato.

Il campo, almeno quello, dovrebbe essere giudice insindacabile. “La pelota no se mancha”, diceva Diego. E per chi mette in discussione Insigne da quel punto di vista, c’è solo una parola: malafede. I 114 gol, molti dei quali, anche bellissimi, segnati a big italiane ed europee (Juve, Inter, Milan, Real, Barcellona, Liverpool, PSG, Borussia…), i 95 assist, l’incalcolabile lavoro senza palla, i tre titoli (uno dei quali con una doppietta in finale troppo spesso dimenticata) e l’Europeo vinto da protagonista, rendono Insigne un patrimonio di Napoli e del calcio italiano. Negarlo è ridicolo, soprattutto utilizzando il ritornello “se è così forte, perché non ha ricevuto offerte?”, che a me ricorda assai quello su Higuain, Albiol e Callejon: “Se fossero stati forti, il Real li dava a noi?”.

Insigne non avrebbe mai ricevuto una proposta paragonabile a quella del Toronto, ma state certi che le chiamate importanti a giugno sarebbero arrivate. Nei mesi scorsi, pur senza affondare il colpo, ci hanno pensato Atletico, Inter e Juventus, ma il mercato, in questo momento storico, è strano, complesso. Anche Calhanoglu, prima del triste destino di Eriksen, stava valutando le proposte di Arabia e Qatar.

Lorenzo, in ogni caso, tremava all’idea di dover giocare contro il suo Napoli e ha optato per un cambio di vita radicale, mettendo la famiglia e il futuro dei suoi figli davanti al calcio. Con un’eccezione, però, confermata dallo stesso presidente del Toronto: non lasciare la sua squadra a metà stagione. 

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Avrebbe potuto farlo, visto che il Napoli, come accadde con Hamsik, avrebbe lasciato partire senza troppi patemi d’animo il suo capitano incassando qualche milione, e lui si sarebbe risparmiato cinque mesi in cui non gli si perdonerà nulla. Invece, ha scelto di restare, di giocarsi un finale di stagione complesso, e regalarsi un indimenticabile addio al Maradona.

La sostanza è questa, e dovrebbe contare più di una forma che, lo ripetiamo, è stata sbagliata. Ma a Napoli, se sei napoletano, è difficile farsi voler bene. Ne ha molte più chances un Lozano che sotto il Vesuvio ha dimostrato un decimo di Insigne, pur guadagnando i suoi stessi soldi, e che appena ne ha possibilità ammette di essere pronto “a giocare in un club più grande”. 

E, dunque, se il Napoli perde un giocatore napoletano, cresciuto nella mai nata ‘scugnizzeria’, campione d’Europa e con quei numeri, in tanti festeggiano. Loro possono stare tranquilli, visto che è estremamente probabile che un capitano di questo tipo, il club azzurro, non lo avrà mai più. Gli altri, possono invece godersi gli ultimi mesi di un giocatore antipatico e fortissimo, che ha già scritto la storia del club partenopeo e che ha scelto di concedersi a suo rischio e pericolo qualche riga in più. In bocca al lupo.