Real Madrid, Salernitana, Roma: a lezione di senso d’appartenenza

Non basta per vincere, ma la simbiosi tra club e tifoseria, nei momenti chiave, spesso fa la differenza.

Il calcio ci innamora sin da bambini non soltanto per l’immediatezza e l’eleganza dei suoi gesti tecnici. Non esiste un appassionato che non abbia una squadra del cuore: il legame con la maglia è molto più solido di quello che abbiamo col pallone. Sentirsi parte di un club, credere di poterne decidere le sorti con un coro in più, condividerne gioie e dolori insieme ad amici o sconosciuti che indossano la stessa sciarpa è ciò che rende speciale questo sport. Si tratta del famoso senso d’appartenenza.

Nicola Ancelotti Mourinho
Nicola, Ancelotti, Mourinho (LaPresse)

Non è un caso se Carlo Ancelotti abbia utilizzato proprio quelle parole a pochi minuti da una delle sue imprese più grandi. Il Real Madrid ha battuto in rimonta, a casa sua, PSG, Chelsea e City, tutte squadre che, in questo momento storico, sulla carta gli sono superiori. Lo ha fatto perché ha un rapporto magico con la Champions, perché ha giocatori straordinari e un allenatore leggendario, ma anche perché chi indossa la maglia del Real si sente parte di qualcosa di più grande. I madridisti recitano come un mantra che “90 minuti en el Bernabeu son molto longo”, parafrasando Juanito dopo la sconfitta 2-0 con l’Inter del 1986, che fu puntualmente ribaltata a Chamartin. Quando le energie si esauriscono e vincere diventa questione di cuore più che di schemi, il vincolo tra società, squadra e tifosi può fare la differenza.

Nicola, Ancelotti e Mourinho
Ancelotti (LaPresse)

Un’alchimia che sta vivendo, finalmente, anche la Salernitana. Dopo la tribolata gestione Lotito, che ha avuto l’enorme merito di riportare il club in A, ma non è mai stato capace di legarsi alla piazza, l’avvento di Danilo Iervolino ha cambiato tutto. La città si è schierata in maniera netta al fianco di una dirigenza che poteva tranquillamente scegliere di vivere sei mesi di transizione, incassare il paracadute e ripartire. I granata hanno invece deciso di rischiare, di credere a una salvezza miracolosa, affidando le redini del progetto a Walter Sabatini, e questo è stato apprezzatissimo dai salernitani. Con gli acquisti dell’esperto ds e l’avvento di Nicola in panchina, i campani hanno scalato posizioni, spinti da una tifoseria bollente in ogni stadio d’Italia. E sono vicini a trasformare il miracolo in realtà, fianco a fianco con i loro sostenitori in una simbiosi completa, mai vissuta nelle stagioni recenti.

Perché quando i risultati non brillano, è la comunità che la circonda a tenere in piedi una squadra. A Roma i Friedkin lo hanno capito subito e hanno scelto l’allenatore ideale da questo punto di vista. José Mourinho è un maestro nel creare il “noi contro tutti”, e le tante iniziative di avvicinamento ai tifosi (l’ultima, i biglietti garantiti per la finale di Conference ai 166 di Bodo) hanno tenuto alto l’entusiasmo intorno alla squadra anche nei momenti difficili, che quest’anno non sono mancati. Lezioni di senso d’appartenenza, che non basta per vincere, ma senza il quale non si vince mai.