L’Italia ha scoperto Insigne: le chiavi della ‘cura Mancini’

Insigne ha trascinato la Nazionale contro Polonia e Bosnia, con il ct Mancini l’Italia ha scoperto un talento figlio di un Dio minore.

356 presenze, 92 gol e 74 assist con la maglia del Napoli, due Coppe Italia (una con doppietta in finale alla Fiorentina), una Supercoppa Italiana, uno scudetto sfumato dopo una cavalcata meravigliosa e l’Europa League nel 2015 persa nei meandri della doppia sfida in semifinale contro il Dnipro. Non è finita qui: Insigne ha fatto gol al Liverpool, al Real Madrid, al Barcellona, al Borussia Dortmund, alla Juventus, al Manchester City ma all’Italia non bastava, in realtà spesso neanche ai tifosi del Napoli. Del resto Lorenzo ieri l’ha confermato: “Non ho mai avuto un buon rapporto con la piazza di Napoli”.

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Insigne e i numeri in Nazionale: ha predicato talento nel deserto

Il capitano del Napoli ha 29 anni, un percorso con alti e bassi come tutta l’Italia calcistica ma sembra sempre figlio di un Dio minore, sotto esame. Un processo permanente che parte dalle pressioni della piazza di Napoli e arriva fino alla Nazionale. Da Maradona a Baggio, da Del Piero a Totti c’è sempre una proiezione immaginaria che dovrebbe raggiungere, come se quello che fa non bastasse mai.

Guardando i suoi numeri in Nazionale, nel contesto dei fallimenti di Prandelli e Ventura e dal rapporto conflittuale con Conte, Insigne ha predicato talento nel deserto e, appena è arrivato Mancini a dare un’idea di gioco consona alle sue caratteristiche, la produzione è diventata più continua. In 38 presenze Insigne ha realizzato 7 gol e 6 assist, ha inciso in 11 occasioni (il 28,9%). Troppo poco, suggeriranno quelli che pretendono la continuità. Ma come si fa ad averla nell’Italia che saluta il Mondiale del 2014 perdendo col Costarica o nel doppio confronto con la Svezia che ci ha buttato fuori dal Mondiale in cui Lorenzo totalizzò 14 minuti?

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La svolta Mancini: il paradiso del “giocatore associativo”

Grazie a Mancini, l’Italia ha scoperto Insigne. I 20 gol nel secondo anno di Sarri, la crescita da leader tecnico nel Napoli dei 91 punti, la rinascita con Gattuso non bastavano per un figlio di un Dio minore.

Serviva di più e quel progetto di gioco, che Mancini ha costruito su Jorginho e Insigne studiando proprio il Napoli di Sarri, ha fatto sì che quella maglia numero 10 brillasse in attesa di Europeo e Final Four di Nations League.

Insigne è un calciatore associativo, non un “solista”, vive in armonia con la squadra, ha bisogno del contesto adatto per tirar fuori ciò che ha dentro. Palla avanti, palla dietro, ricerca del terzo uomo, dominio del campo attraverso il palleggio, nel calcio proposto dall’Italia Lorenzo si trova alla grande. Ama fare il pendolo, muoversi a seconda dell’occupazione degli spazi da sinistra per scandire il tempo della proposta offensiva, cercare il dialogo con i compagni con la visione di gioco che gli consente di trovare Belotti a centro area come fatto in occasione del primo gol alla Bosnia.

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Gattuso e Insigne (Getty Images)

L’ultimo step è la svolta mentale made in Gattuso

Le persone non sono tutte uguali e neanche i calciatori, talvolta i percorsi possono essere complessi e a 29 anni può esserci uno step così forte da immergersi in un’altra dimensione. Può averlo fatto Insigne con Mancini e Gattuso perché si diverte, è in fiducia, basta vedere i colpi che prova come il controllo di palla nell’occasione del palo contro la Bosnia. “Sono più sereno”, diceva nel post-partita e la condizione mentale per i giocatori creativi fa ancora di più la differenza.

Sembra giocare come faceva per strada da bambino, o al “brasiliano” a Succivo, un torneo tre contro tre in cui era in squadra con i fratelli Antonio e Roberto. C’è, però, un surplus: è costantemente sul pezzo, non abbassa mai la tensione con la consapevolezza dei propri mezzi e di essere un punto di riferimento.

C’è tanto Gattuso in questa svolta mentale, Ringhio è entrato dentro di lui, gli ha dato la guida del Napoli ma ha ottenuto in cambio la crescita da trascinatore.

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