Il miglior allenatore della Serie A, senza se e senza ma

De Zerbi continua a vincere e divertire: il suo Sassuolo è felicità. Merita una panchina top in Serie A per continuare a stupire

Minuto 86 di Benevento-Sassuolo: Raspadori legge l’azione, la linea difensiva del Sassuolo (in vantaggio 0-1) è, praticamente, sulla trequarti per supportare l’uscita. Il baby dell’Under 21 scatta, ruba palla, va profondo: arriva a pochi metri dalla porta difesa da un Montipò rassegnato a capitolare. Raspadori è lì, prende la mira, la mette fuori.

Eppure, Raspadori, in questa stagione, è cresciuto tantissimo: perché ha avuto fiducia, perché ha seguito il suo allenatore, ne ha assorbito i dettami. Senza essere Mbappé o Haaland, si è preso spazio, si è preso la nazionale di categoria, si è preso il futuro: perché, pur non essendo un campione, è cresciuto con un maestro di calcio che ha innalzato il suo valore contestualizzato nel gruppo che scende in campo gara dopo gara. Il merito? Solo di Roberto De Zerbi.

Minuto 92′: Marlon rinvia alla meglio, Chiriches osserva Glik in area di rigore, pareggio sannita sfiorato ed evitato solo grazie ai riflessi di Consigli. Se vi chiedete il motivo dell’ottavo posto alle spalle delle sette grandi e dei 48 gol subiti, non vi rispondete banalmente. Date un occhio alle partite. Riguardatevi Benevento-Sassuolo terminata 0-1 con una quintalata di occasioni da gol, con la speranza di non vedere l’arbitro fischiare la fine. Con buona pace dei giochisti e dei risultatisti: perché De Zerbi vince divertendo, perché con una rosa di giocatori mediocri o di discrete speranze ottiene un calcio spumeggiante, allettante e che lo pone ben sopra ad altre rose molto più importanti. Prendete uno per uno i calciatori della Samp, della Fiorentina, del Cagliari o del Torino. Mi spingo oltre, anche del Genoa e del Bologna: in valore assoluto, non sono inferiori a quelli del Sassuolo. Anzi.

Traorè in campo
Hamed Traorè (Getty Images)

De Zerbi non è Zeman: è la speranza per chi vuol veder crescere le proprie ambizioni

Questo è un pezzo schierato, fazioso, di ammirazione per un allenatore partito dal basso, che ha fatto la gavetta, che non si piega alle logiche dominanti, che vuole far innamorare del calcio attraverso il calcio. Roberto De Zerbi è un modello, un esempio, una speranza per il movimento italiano e non solo.

De Zerbi non è Zeman: dategli una squadra con difensori di livello, con due centrali di buon livello per un campionato di Serie A, con due esterni bassi che sappiano attaccare ma che possano mettere in pratica anche una fase difensiva non straordinaria, ma sufficiente per gli standard di una formazione di alta classifica. Date tutto questo a Roberto De Zerbi: poi, sono pronto ad offrirvi il caffè se saranno ancora 48 le reti al passivo dopo 30 partite.

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Il movimento calcistico tedesco non ha avuto paura di lanciare Rose, Tuchel, Nagelsmann: non l’ha fatto perché ha avuto la consapevolezza che attraverso essi avrebbe rilanciato il movimento, trovato spunti, idee e vitalità. Anche se questo costa qualche sconfitta inattesa: però, ora, sono tutti bravi a celebrare il sorpasso della Bundesliga sulla Serie A in termini di competitività e fidelizzazione al campionato.

Il movimento calcistico italiano ha paura di De Zerbi: lo taccia in ogni modo, non vuol credere che possa aprire una scuola, ha paura di perdere la sua identità. Ha paura del futuro. Se l’Italia del pallone vuol crescere, dalla prossima stagione c’è bisogno di più meritocrazia. Aurelio De Laurentiis scommise su Sarri, ne ricavò la Grande Bellezza, il Napoli è cresciuto esponenzialmente da quella avventura. L’Italia ha paura di De Zerbi perché se funziona sarà costretta a smantellare un’infinità di luoghi comuni, noiosi come lo sono la maggior parte delle gare di Serie A.

Prima e dopo l’autorete di Federico Barba che ha deciso l’incontro, sono state decine le azioni, la voce del telecronista era divertita, l’attenzione sulla partita non calava mai. E non ascoltate quei parrucconi che dicono che il Sassuolo fa un noioso tiki-taka: la ricerca della verticalizzazione non è solo una costante: è anche bellissima.

Credere in chi vuol evolvere il gioco, in chi lo vuole portare in una dimensione più avanzata è un rischio: ma, è anche l’unica strada possibile per migliorare. Se l’Italia del calcio non dovesse aver voglia di migliorare, auguro a De Zerbi di trovare fortuna all’estero, in un posto del mondo dove questo sport si ama per davvero.